Negli ultimi tempi, il dibattito circa il potenziale valore aggiunto apportato, a livello lavorativo e professionale, dalla diversità è stato posto al centro della riflessione internazionale. Tale tematica si rivela strettamente connessa anche alla definizione di “categorie protette”, termine che deriva dalla giurisdizione del lavoro e che detiene un significato notevolmente ampio.
A quanto risulta dalle più recenti indagini, soltanto partendo da un reale processo di integrazione delle categorie protette (ovvero di Diversity Opportunity) è plausibile ottenere risultati effettivi in ambito di Diversity Management.
A tal proposito, la finalità dell’head hunting diventa quella di selezionare il personale con maggiore scrupolo rispetto al passato, valorizzando il potenziale di ciascuno e incentivando alla massima sinergia tutte le risorse, tra le quali sono poste, oggi, in primo piano le categorie svantaggiate, considerate come fonte ineguagliabile di potenziale e, quindi, di redditività.
Cosa si intende per “categorie protette”
Il termine “categorie protette” identifica gruppi specifici di individui e, allo stesso tempo, risulta sufficientemente astratto per potersi anche, eventualmente, ampliare a nuove realtà, adeguandosi alle inevitabili trasformazioni sociali e dell’organizzazione del lavoro.
A livello normativo, nelle cosiddette categorie protette rientrano tutti i lavoratori, compresi tra i 15 e i 65 anni, che, per motivi di disabilità e/o invalidità psico-fisica oppure a causa di determinate patologie o di particolari condizioni di vita, necessitano di tutele speciali da parte dello stato. Tra queste ultime ricade anche l’accesso facilitato al mondo del lavoro.
Ufficialmente vengono considerati appartenenti alle categorie protette tutti gli invalidi civili (con invalidità riconosciuta superiore al 45%) e quelli di lavoro (con una percentuale invalidante superiore al 33%), ciechi, ipovedenti e sordomuti, invalidi (civili e non) di guerra e per servizio; vedove e orfani, profughi rimpatriati, vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.
Principali riferimenti normativi
A livello europeo, è la Carta dei Diritti Fondamentali a richiamare esplicitamente il concetto di diversità, vietando qualsiasi forma di discriminazione contro minoranze, menomazioni e disabilità e favorendo, di contro, l’integrazione e l’uguaglianza assoluta (intesa come pari diritti e pari doveri) di tutti gli individui.
Per quanto riguarda, invece, il contesto strettamente italiano, è la Legge n. 104 del 1992 a riconoscere ufficialmente lo stato di svantaggio e/o handicap di un individuo e a obbligare lo Stato ad assumere la tutela assistenziale di tali soggetti.
In ambito lavorativo e professionale, invece, il principale riferimento legislativo nazionale è la Legge n. 68 del 12 marzo 1999 che definisce le categorie protette e che è stata promulgata principalmente allo scopo di favorirne il collocamento e l’inserimento lavorativo, incentivando (e, da un certo punto di vista, obbligando) le aziende all’assunzione di personale appartenente a tali categorie, in numero variabile in base al numero totale dei dipendenti interni.
Obblighi e agevolazioni inerenti le categorie protette
La Legge n. 68 è, fondamentalmente, una norma di tutela occupazionale, fiscale ed economica. Da un lato, infatti, obbliga i datori di lavoro ad assumere personale, selezionandolo dalle liste di collocamento specifiche delle categorie protette, in percentuale crescente in relazione alle dimensioni dell’azienda, garantendo così l’occupazione delle “quote di riserva” (ovvero del numero minimo di personale svantaggiato, rispetto al totale delle risorse aziendali).
In Italia, dunque, tutte le aziende, sia pubbliche che private, con più di 15 dipendenti, sono obbligate ad assumere almeno un lavoratore appartenente alle categorie protette.
Dall’altro lato, a livello fiscale, la normativa impone allo Stato di partecipare parzialmente (oppure di ottemperare completamente) al saldo degli oneri contributivi, previdenziali e assistenziali; mentre, a livello economico, sono previsti incentivi, sgravi e agevolazioni per i datori di lavoro che assumano personale protetto o sostengano spese per l’abbattimento delle barriere architettoniche e/o di ammodernamento tecnologico, volti a facilitarne l’accesso al luogo di lavoro.
Le agevolazioni previste per i lavoratori, invece, hanno a che vedere, per lo più, con la possibilità di usufruire di permessi retribuiti e di richiedere il prepensionamento; di scegliere (quando possibile) il luogo e la sede di lavoro o di rifiutare eventuali trasferimenti.
A tutti i lavoratori della medesima azienda devono essere applicati lo stesso contratto di lavoro, gli stessi orari e pari trattamento economico: ciò permette di valorizzare equamente le skills e le competenze di ciascun lavoratore, al di là delle condizioni fisiche e/o mentali, di promuoverne l’adeguato collocamento e lo svolgimento di mansioni opportune.
Lo scopo finale, in effetti, è dichiaratamente quello di favorire l’integrazione e la cooperazione, affinché la diversità diventi parte integrante del contesto lavorativo, risultando sostenibile e possibilmente redditizia.
Vengono applicati, perciò, nuovi metodi di valutazione e sostenuti percorsi formativi pianificati ad hoc che sono, almeno in parte, responsabilità delle agenzie di collocamento e, soprattutto, degli head hunters. Sono queste le figure professionali alle quali è necessario fare riferimento: esperti delle risorse umane, in grado di individuare le professionalità e personalità migliori da collocare, per un determinato incarico o posizione lavorativa.
La diversità come principio fondamentale di una nuova etica del lavoro
Al di là del fatto che il concetto di minorazione fisica e/o mentale non coincide necessariamente con quello di ridotta capacità lavorativa, la normativa relativa alle categorie protette e la riflessione rivolta alla diversità hanno fatto in modo che sempre maggiore attenzione venisse dedicata ai lavoratori svantaggiati.
In effetti, mentre in passato è stata promossa una pratica lavorativa standardizzata e uniformata, oggi la tendenza segue finalità differenti, andando nella direzione di una valorizzazione della diversità, intesa come potenziale creativo ed espressivo del lavoratore, da promuovere al fine di trasformare i limiti in opportunità e valore aggiunto, attraverso il miglioramento continuo delle prestazioni professionali dell’individuo che, selezionato dall’head hunter, dovrà essere valutato oggettivamente in base al proprio operato e alle propensioni personali.
Se in Italia un tale nuovo concetto di business stenta a decollare, nel resto d’Europa i tassi medi di occupazione rivelano un impulso reale verso questa nuova etica del lavoro, volta all’integrazione e alla valorizzazione della diversità.